Gelosia non fa rima con odio
Qualche giorno fa mi è venuta in testa un’idea strampalata, il desiderio che un uomo fosse geloso di me. E lo so che l’argomento è spinoso, di quelli su cui rischi di inciampare clamorosamente. Sopratutto in questi giorni.
Il desiderio è semplice: ho desiderato che un uomo rivendicasse l’esclusività del mio amore. Ho desiderato che un uomo scegliesse me e volesse essere scelto da me, senza distrazioni, senza compromessi, senza ambiguità. Sono tornata indietro con la memoria, a quell’amore da ragazzini che non ha resistito all’età adulta, a quell’esplosione di rabbia e la sua camicia strappata quando gli ho detto che guardavo da un’altra parte, a quei bottoni schizzati via mentre i camerieri ci guardavano fuori dal locale. Ho ripensato a quanto un attacco di gelosia possa dire “ti amo, voglio che il tuo amore sia solo mio, non voglio perderti” e farti sentire parte dell’altro.
Gelosia che non è possesso, tanto meno violenza. Gelosia che nasce dalla pancia, non dalla testa, e come tutte le cose di pancia fa fare cazzate. Gelosia che può esplodere, che può essere una scenata, che può essere un piatto spaccato a terra o un bicchiere scagliato contro il muro.
Il confine però è labile e scivoloso. Pericoloso se pensi a Vania, Sara, Elena, a tutte le donne uccise perché un uomo ha superato quel confine. Perché se la gelosia può essere amore esasperato, la violenza non è mai amore. Non faccio un’analisi sociologica, né tanto meno sono la persona giusta per tracciare profili psicologici. E non sto certo giustificando l’orrore della morte, di una tanica di benzina versata addosso a una donna o dodici coltellate alla schiena.
Io continuo a desiderare un uomo geloso, sperando che rompa un piatto per dirmi ti amo e non impugni un coltello. Continuo a sperare in un amore che può essere viscerale, senza mai diventare odio.