E poi decido di salvarmi
Possono passare anni, strade tracciate, vite che sembrano disegnate e previste e prevedibili. Poi invece inverti la rotta, di botto. Capita. A me è capitato più volte, nonostante una naturale ritrosia a prendere decisioni.Rimando, mi adagio, mi trascino. Per settimane, mesi, anni. Giornate vuote, tempo che scorre. Poi di botto decido. Di solito di pancia, d’istinto. Crescendo ci ho ragionato, ma è sempre la pancia a guidarmi (del resto a qualcosa deve pur servirmi, oltre che a farmi dannare).
Ho sparigliato le carte, a dodici anni, scegliendo la scuola superiore, e non era il liceo che i miei avevano pensato per me. Ho preso una laurea e l’ho messa nel cassetto per un lavoro che mi piaceva, in cui mi sono sentita subito più a mio agio, in cui crescevo, imparavo, acquisivo sicurezza.
Ho scelto uomini sbagliati, coltivando relazioni che erano un vicolo cieco. Poi un giorno, di botto, la sofferenza non esisteva più e quel capitolo era chiuso. Pronta ad andare oltre.
Ho cambiato città, alla prima occasione possibile, cercando l’autonomia appena in condizione di mantenermi. Per non dovere mai chiedere anche sapendo che ho sempre avuto (e ho) una famiglia che mi sostiene e che di fronte a questi miei colpi di testa e ai fallimenti non ha mai detto “te lo avevo detto”.
E se ognuna di queste rivoluzioni silenziose è preceduta dalle lacrime, dalla gastrite e dalla colite (con l’unico vantaggio di perdere qualche chilo), dalle notti insonni e dagli incubi (in questo caso ringraziano le aziende di make up, che per coprire le occhiaie il giorno dopo ci vogliono i miracoli), dall’ansia che mi divora (santo subito l’inventore dello Xanax), poi d’improvviso arriva la leggerezza. Un senso di sollievo, di liberazione.
Che magari sarà la prossima cazzata, ma è quel misto di euforia e paura che mi fa sentire viva. Perché prima di morire lentamente io provo a salvarmi.