Il karma dell’acqua
Ho sempre pensato di avere una sorta di maledizione per tutto quello che riguarda l’acqua. L’ho sempre chiamato il karma dell’acqua perché, stando ai fatti, ho sempre avuto qualche problema legato all’acqua, come se in una vita precedente avessi annegato qualcuno e ora dovessi pagarla a tutti i costi.
Nella prima casa un giorno ero a farmi la ceretta quando mi chiamarono le inquiline del piano di sotto: usciva acqua da sotto la mia porta. Scappai con una gamba depilata e una no, arrivata a casa – cinquanta metri quadri scarsi di parquet con cose stipate ovunque e libri e fascicoli e carte e lampade anche a terra – c’erano due centimetri d’acqua. Furono provvidenziali un grande terrazzo (su cui trasferire tutta la casa), un’amica, due secchi e tanti stracci, dieci ore di lavoro. Quella sera, stanca, morta e incazzata come un coccodrillo digiuno da una settimana, uscii comunque, sotto casa ci mancava uno spiacevole incontro con un ex. Credo di avergli mandato il messaggio più velenoso di cui sia mai stata capace. Da allora però non c’è più nessun elettrodomestico che utilizzi acqua in funzione se non in mia presenza, li controllo a vista.
Poi traslocai, casa più grande, con una bella vista. E soprattutto l’ascensore. Non ci pensavo più, avevo l’ascensore e mi bastava. Sbagliando. Domenica di agosto, mare, lettino, amici. Squilla il telefono. L’inquilina del piano di sotto. “Signora, piove nel mio bagno”, esattamente sotto al mio. Scappo in fretta e furia, improvvisiamo una riunione di gabinetto (nel senso più letterale) con la proprietaria dell’appartamento e i signori del quarto piano. Dopo mesi di tira e molla si scoprì che perdevano i tubi della mia vasca, i lavori durarono qualcosa come sei settimane, io ero una profuga, alloggiata a casa di un’amica (sempre la stessa). La casa un enorme cantiere, il Colosseo fu costruito in meno tempo. Alla fine cacciai gli operai che ogni giorno facevano una minchiata, lasciarono una tinteggiatura di schifo e me la tenni. Era diventata una questione di salute. Mentale. La mia.
Da quasi due anni sto nella casa che mi piace più di tutte. L’ho benedetta durante il lockdown perché qua mi sentivo a mio agio veramente. Avrei dovuto capirlo subito però. Il secondo giorno, in pieno trasloco, quando i rubinetti rimasero a secco. Stavano facendo lavori, ma io pensai subito a bollette non pagate, distacco dell’utenza, code agli sportelli. No, erano solo lavori. Non sapevo poi che in estate, in questa zona, la pressione dell’acqua è praticamente zero. Questo significa che la caldaia non si attiva, la doccia è un supplizio. Allora ho fatto ripristinare un piccolo motorino che pensavo non mi servisse e un serbatoio di emergenza. La doccia ora sembrano proiettili. Ma il serbatoio, non si capisce perché, ogni tanto sballa. E piove in bagno. Anzi no, non piove. Sono proprio cascate. Per fortuna è successo sempre quando sono a casa. Ma a questo punto mi pare evidente che io abbia un problema con acqua, tubi, rubinetti e recipienti vari.
Da una settimana ora guardo una macchia sulla parete del bagno. Passo, la tocco. Controllo. Sono sicura che sia umidità. Non ho dubbi, ma il ducotone è asciutto. Ma la macchia è là. Sto diventando pazza. Stasera il lampo di genio: ho richiuso lo specchio a parete, quello con il braccio estensibile, fissato di fronte. E la macchia è sparita, era solo l’ombra. Perché certe volte siamo talmente convinti di una cosa che vediamo pure quello che non c’è. Invece magari è solo sfiga, forse, in fondo, nella vita passata non ho annegato nessuno. Ho solo trovato tubi e rubinetti e recipienti di merda.